Il dolore della perdita

Il dolore della perdita
  • Dr. Maurizio Sgambati
  • 07/11/2024
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Nessuno vuole separarsi completamente da qualcosa o qualcuno soprattutto quando la decisione è subita ad opera di qualcuno (abbandono) o qualche evento esterno (lutto, perdita) e non determinata da una nostra scelta (separazione).

Il dolore della perdita ci porta ad avere a che fare con il senso di impotenza; di fronte alla perdita, reale o immaginaria, grande o piccola così come di fronte ai cambiamenti di vita, si manifestano in noi molte emozioni che precedono il processo del dolore e ci permettono di prendere coscienza dell'assenza di ciò che non c'è più ed in seguito di comprendere la nuova realtà.

Tutti tendiamo ad aggrapparci alle idee, alle persone, alle esperienze vissute, ai legami, agli spazi fisici, ai luoghi conosciuti, con la certezza che questa sia l'unica cosa che ci può salvare. Scappiamo dall'incerto aggrappandoci a ciò che non ci serve o a ciò che non c'è più questo perché una parte di noi non confida nella propria forza, nella propria capacità di sopportare il dolore del distacco e le incognite del cambiamento. 

Scegliamo quindi di soffrire anche se ciò significa cronicizzare il dolore, trasformandolo da un momento di transizione ad uno stato permanente, rimanendo ancorati al ricordo di ciò che rimpiangiamo per non dimenticarlo per non rinunciarci, sostituendolo così con la sofferenza.

La sofferenza è una morbosa forma di lealtà verso l'assente; è come diventare dipendenti dal malessere, come evitare il peggio scegliendo il peggio del peggio.

Al contrario, il dolore implica accettazione, essere in contatto con ciò che proviamo, con la mancanza ed il vuoto che l'assenza ha lasciato. 

La differenza importante tra sofferenza e dolore è quest'ultimo ha sempre una fine mentre la sofferenza potrebbe non concludersi mai.

Sappiamo inoltre che il noto ci causa sofferenza ma non siamo disposti a annunciarvi per percorrere il cammino più leggeri e, quindi, non abbiamo possibilità di smettere di soffrire. 

Il problema dunque è il non  essere in grado di entrare uscire dalle situazioni, non avete imparato che ottenere e perdere fanno parte della normale dinamica della vita.

La morte, il cambiamento e le perdite implicano un processo attraverso il quale qualcosa cessa di essere così come è per dar luogo a un'altra cosa che va a occupare il posto di ciò che non esiste più.

Vivere attivamente è permettere che le cose cessino di essere per far posto a cose nuove, è smettere di aggrapparsi al presente per paura del futuro.

Diventare adulto implica sempre perdere qualcosa, abbandonare una realtà precedente (interna o esterna), anche se ci sembra più sicura, più protetta e prevedibile.

Continuare ad aggrapparsi al passato è rimanere centrato su quello che si ha perché non si ha il coraggio di vivere quello che succede. Elaborare un dolore significa liberarsene per andare verso il nuovo, passare dal conosciuto allo sconosciuto per continuare a crescere senza temere di non riuscire a sopportare un dolore, partendo dalla consapevolezza che il dolore non ci distrugge.

Il dolore a volte accompagna chi soffre occupando lo stesso posto che occupava la persona che è venuta a mancare: la disperazione riempie quello spazio sebbene la sensazione non sia piacevole la si percepisce come meno minacciosa rispetto al sentirsi vuoti.

Tutti pensiamo di non essere capaci di sopportare una perdita, di non essere in grado di superare la morte della persona cara perché abbiamo appreso attraverso l'educazione che non è bene parlare di morte; la morte rappresenta un tabù della società.

Bisogna imparare ad accettare che fa parte del cammino il fatto che alcune cose rimangano indietro mentre altre proseguono. Si può guarire dalle ferite che si aprono quando si deve abbandonare qualcosa durante il cammino, quando l'altro se ne va, quando una relazione finisce, quando un progetto va a monte, quando realizziamo che non potremmo avere ciò che speriamo o desideriamo. 

Separarsi implica attraversare un dolore che ci fa sentire tristi, disperati addolorati ma non necessariamente depressi; In questa fase, anche sappiamo che non è vero, abbiamo l' impressione che l'altro sia dentro di noi. 

Il brutto è la dolorosa sensazione di impotenza mentre il sollievo è dato dal fatto che ad un certo punto si esaurisce e che, il nostro essere è in grado di organizzarsi per il processo finale della cicatrizzazione: la conclusione di ogni perdita. 

La tristezza e il dolore ci tengono  temporaneamente lontani dalle situazioni affinché possiamo rimpiangere quello che abbiamo perso, per difenderci dagli altri stimoli finché non saremo pronti a riceverli, ci connettono con l'interno per poter tornare all'esterno solo quando saremo pronti a dar luogo all'accettazione.

Dopo aver offerto e rimpianto per la mancanza della persona scomparsa c'è una fase in cui si cerca di tenerla in vita facendo le stesse cose che faceva quella persona; questa è la fase dell'identificazione con quello che non c'è: si rievocano le cose belle che si facevano assieme, le abitudini, i gusti e i valori delle persona scomparsa come se ciò ci permettesse di sentirla ancora accanto.

Questa fase finisce quando, senza rendercene conto, cominciamo a fare quello che non si era mai fatto prima come se volessimo smettere di somigliare alla persona perduta.

A questo livello l'energia inizialmente legata al dolore viene trasformata in azione costruttiva per se stessi come se il nostro istinto di sopravvivenza fosse più forte del lutto. 

Questo accade non solo con il decesso, ma anche con il divorzio, l'abbandono, ed anche quando siamo chiamati ad elaborare la perdita di un ruolo lavorativo, un luogo significativo di una tappa della nostra vita ...  tutte quelle situazioni e persone grazie alle quale siamo diventati ciò che siamo oggi.

Prima o poi siamo dobbiamo accettare che non possiamo continuare a scegliere chi e cosa non c'è più, restare aspettare ancorati al luogo in cui si preso coscienza della perdita ma continuare con il dolore alle spalle.


Dr. Maurizio Sgambati

Dr. Maurizio Sgambati
Psicologo a Pordenone

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Iscritto all’Ordine degli Psicologi del Friuli Venezia Giulia col n. 787 dal 10-09-2005
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